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A Max era bastato vederla, quella Rashka – quindici anni, «esile, la carnagione chiara, i capelli biondi raccolti in una treccia e gli occhi di un azzurro che non aveva mai visto» –, per innamorarsene all’istante. E per intuire che avrebbe avuto un ruolo, forse fatale, nella sua esistenza. Fino a un attimo prima tutto $lava liscio: lui e la sua bella Flora, moglie e amica, complice e amante, erano arrivati a Varsavia per procurarsi della «merce» per la loro fabbrica di borsette – in realtà, carne fresca per il florido bordello che gestivano a Buenos Aires. Subito si erano immersi, come un tempo, nel mondo di via Krochmalna, cuore pulsante del ghetto di Varsavia, sorta di corte dei miracoli, in cui, all’inizio del Novecento, aleggiava ancora un buon «odore di birra, mostarda, bagel caldi e pretzel » e dove traf$cavano i loro vecchi amici, gente come Meir Panna Acida, Leah Lingualunga, Itche l’Orbo e Feitel la Botte. Singer ci regala un’altra delle indimenticabili $gure della sua commedia umana yiddish: perché Max, cinico e donnaiolo, in apparenza pienamente soddisfatto di sé e della propria ricchezza, pronto a $nanziare un attentato anarchico se questo gli consente di far soldi, è in realtà (come sempre i personaggi dell’autore polacco) tormentato da dubbi, e domande a cui non trova risposta, e tentazioni di morte – che proprio l’incontro con l’irresistibile Rashka porterà prepotentemente alla luce.