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uidare una motocicletta non ha niente a che fare con la velocità. È un'esperienza intensissima di libertà psichica e fisica

Nel 2002, in un'intervista a una stazione radio di Los Angeles, John Berger descrive così la sua passione per la motocicletta, sorta durante il servizio militare nell'esercito britannico - lo destinarono al compito di "staffetta", di addetto al recapito di messaggi - e mai più abbandonata, tanto che, ad Antony, alle porte di Parigi, lo si vide, quasi novantenne, dare lezioni di guida alla figlia sedicenne dell'amica Tilda Swinton. Guidare una moto, per Berger, è «un'esperienza intensissima di libertà psichica e fisica» poiché è un'arte che «differisce da ogni altro tipo di guida». Un'arte «spinoziana» - come scrive Andy Merrifield in questo volume, ricordando come Spinoza impregni ogni gesto reale e il pensiero di Berger - perché «interessa l'intero corpo e il suo istintivo senso di equilibrio». Con la sua meccanica e le sue due instabili ruote, la moto è, per Berger, mezzo di trasporto d'elezione, ma anche metafora, esca al lavoro congiunto di corpo e mente, strumento di ricerca e di piacere che implica costantemente una perfetta coincidenza tra occhio e mente, mano e cuore.

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